L’Italia è
comunemente ritenuta la patria del diritto. Se poi si tratti di diritto
realmente applicato o semplicemente di diritto enunciato attraverso norme che
vengono osservate o fatte osservare solo se ciò fa comodo, a sé, ai propri interessi
od alla propria parte politica non è ben chiaro a nessuno. Tuttavia, forse in
ossequio alla definizione citata, vige da noi un’abitudine inveterata. Ogni
volta che si verifica un fatto che impressiona la pubblica opinione, si tratti
di delitti, reati di vario genere, situazioni diverse da quelle cui siamo
abituati, si chiede a gran voce che il fenomeno venga regolato o contrastato
con una nuova legge. Naturalmente senza verificare se una legge in proposito
esiste già e soprattutto se essa viene applicata da chi di dovere.
Ci troviamo quindi
di fronte ad una sterminata produzione di leggi, di regolamenti e di norme che hanno comunque valore di
legge, emanate dallo stato, dalle regioni, dalle provincie e dai comuni. D’altra parte bisogna riconoscere che le
assemblee democratiche investite del potere legislativo debbono ben fare onore
alla propria qualifica, e dobbiamo dire che senza ombra di dubbio esse
“lavorano” molto, ed il loro indefesso lavoro è ulteriormente complicato, per
quanto riguarda il Parlamento nazionale dal fatto che sono in funzione ben due
Camere con gli stessi poteri, che sono particolarmente affezionate al gioco del
pingpong. In fondo, il Parlamento non detiene forse il potere legislativo? E
quindi lo esercita senza sosta (ed anche senza logica).
Accade così che si
calcola che le norme aventi valore di legge siano in Italia circa
centocinquantamila, contro dieci o quindici mila vigenti negli altri più
importanti paesi europei. Peraltro, la sterminata produzione normativa sembra
non essere ben nota neppure a chi è preposto alla predisposizione delle nuove
norme, tanto che è abituale, nelle stesse, l’espressione “le disposizioni della
presente legge sono applicabili ai soggetti di cui alla legge XXX e successive
modificazioni” senza che queste ultime vengano mai precisate, per doverosa
chiarezza. D’altra parte è noto che non è ammessa l’ignoranza della legge…
Qualche anno fa, in
uno slancio di inabituale e lodevole razionalità, ci si rese conto che la
situazione aveva ormai raggiunto un livello insostenibile, e si istituì un
apposito ministero: il Ministero per la Semplificazione. All’inizio questo
ministero sembrò darsi molto da fare e nel 2009 annunciò solennemente di aver
proceduto alla abrogazione di ben ventinovemila leggi, per lo più risalenti a
cento o duecento anni prima. Non è stato chiarito se fra le leggi abrogate
figurasse anche l’Editto di Rotari, forse conservato per motivi culturali.
Da allora non si
sono più avute notizie di ulteriori “semplificazioni”, ma da allora questa struttura
innovativa sembra essersi dedicata a favorire l’informatizzazione di molte
procedure. Finché si tratta di informatizzare alcune procedure interne alla
macchina burocratica il proposito appare senz’altro lodevole, anche se si
rileva che non solo le procedure non sembrano essere sempre efficienti, ma
addirittura troppo spesso si deve constatare che i programmi di uffici fra loro complementari non sono in
grado di dialogare fra loro. A titolo di curiosità si può anche citare il fatto
che, in un periodo di particolare entusiasmo per l’informatica, tutta la
documentazione dell’attività delle Camere è sotto forma cartacea, con grande
dispendio di tempo e di quattrini.
Tuttavia il processo
di informatizzazione delle procedure mostra tutti i suoi limiti e le sue
illogicità quando tocca direttamente il cittadino. Alcune operazioni necessarie
oggi debbono essere svolte unicamente per via informatica: iscrizioni
scolastiche, procedure con gli enti previdenziali, soprattutto le pensioni,
eccetera. Non si tiene in alcun conto il fatto che non tutti i cittadini
posseggono dei computer e comunque non tutti sono in grado di padroneggiare le
complesse procedure previste.
A titolo di esempio,
per ottenere informazioni dall’INPS in merito alle pensioni (e di solito i
pensionati sono persone anziane, attive in periodi preinformatica) si devono
affrontare procedure che devono essere state ideate da esperti di enigmistica,
ed in genere non si riesce ad ottenere alcuna risposta a quanto si chiede.
A ben vedere si ha
l’impressione che non ci sia alcuna reale intenzione di semplificare tutto
l’apparato normativo e quindi la vita degli italiani. Troppi interessi
verrebbero lesi da una vera razionalizzazione delle procedure burocratiche e
del sistema stesso e dalla semplificazione della vita dei cittadini: come si
giustificherebbe la pletorica abbondanza dei dipendenti pubblici senza i
bizantinismi delle procedure e degli adempimenti richiesti ai cittadini
contribuenti? E come sarebbero possibili certe interpretazioni cavillose quando
non capziose delle leggi da parte di avvocati e, ciò che è peggio, da parte
della magistratura?
Forse sarebbe il
caso, prima di procedere in questo tipo di semplificazione, che si procedesse a
semplificare la mentalità di chi provvede ad emanare norme a getto continuo. Ma
c’è poco da sperare in questo senso…
Il Bertoldo
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